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la Forza Oscura del Bio

In Italia c’è un incremento di campi coltivati con metodologia biologica pari al 20% rispetto al 2015 e gli operatori sono cresciuti del... 20,3%. Quindi c’è una voglia di bio, ma è anche vero che ci sono punti vendita che arrancano o addirittura chiudono.
Ovviamente -come mi spiegava Francesca Possenti, la mia professoressa di economia politica alle superiori- l’aumento della domanda attira produttori, fa crescere l’offerta e quindi sono aumentati anche i punti vendita per non parlare poi dell’ingresso della GDO.
Però ci si è buttata anche gente che di bio non ne sapeva niente e, cosa più grave, spesso nemmeno gliene importava niente. Ricordo con soddisfazione quando ho rifiutato di fornire una gigantessa in provincia di Firenze perché, mentre le stavo esponendo i prodotti, l’ho sentita dire divertita alla sua amica: “Spero di non mettermi a ridere la prima volta che mi toccherà vendere questa roba qui”.
E’ evidente che questi soggetti fanno male ai valori del mercato biologico: non conoscendo i prodotti e neanche l’etica che li ha fatto nascere, hanno ridotto il prodotto bio ad una gara sul prezzo più basso a prescindere da tutto. Ma su quel fronte vince la GDO ad occhi chiusi!

Ma torniamo alla forza oscura del bio: la domanda è cresciuta e pure l’offerta. E, come dicevo nel post della settimana scorsa, è importante che si torni a vendere un bio che faccia bene alla Terra e a noi perché è questo valore aggiunto che ci può distinguere dalla GDO e dal venditore improvvisato.
Faccio 2 esempi per farmi capire: Avocado e Quinoa.
L’avocado è un frutto che sta avendo un boom di vendite: ricco di vitamine, fibre, sali minerali, grassi monoinsaturi e via dicendo. Insomma, un prodotto da tenere in considerazione dentro ad una dieta sana. Peccato che per fare un Kg di avocado serva lo stesso quantitativo d’acqua con cui si fanno 4 kg di arance o 10 kg di pomidoro. L’aumentata richiesta, sta rendendo aride vaste zone che vengono private di acqua per consentire l’irrigazione dei campi coltivati a scapito delle popolazioni limitrofe.
Stesso dicasi per la quinoa: nel 2013 è stata presentata presso l’ONU come il cibo dell’anno, perché la si voleva far conoscere a livello internazionale per il potenziale dietetico, economico e per la sua sostenibilità.
Il risultato è stato che la quinoa è diventata di moda: i prezzi sono triplicati, le popolazioni locali ne sono state private (il 90% del prodotto è dedicato all’esportazione), i lama e gli alpaca (animali tipici della zona) sono stati emarginati per aumentare lo spazio coltivato.
E intanto il sorgo, senza glutine ma che richiede meno acqua, fa la parte del cugino povero (ma d'altra parte da noi è conosciuto come "saggina" ed è un nome poco esotico per avere successo).

Premetto che sono un fermo sostenitore del fatto che i commercianti non debbano fare concorrenza a Madre Teresa: abbiamo tutti le bollette da pagare e probabilmente anche un pò di tasse (giusto un pò….) e quindi il primo obiettivo di un’attività è quello di far quadrare i conti e si capisce che “piegarsi” alle richieste sia una necessità, ma cerchiamo di essere noi a gestire la domanda del mercato e a non esserne solo pedine.

Una volta “bio” era automaticamente sinonimo di etico. Adesso non è sempre scontato. Credo che sia importante tornare a studiare i prodotti e che formiamo ed informiamo sempre chi sta acquistando.
Non lesiniamo informazioni, non solo nutrizionali, ma anche relative “alla storia” del prodotto perché la nostra clientela è quella che vuole "crescere".
Al cliente che compra cercando sempre e solo il prezzo più basso, importa solo trovare un bollino "bio" e poi si disinteressa se una cosa è fatta usando lavoro minorile e kriptonite (purché biologica). Mi verrebbe da dire che è un cliente che non vale la pena di tenere, ma la realtà è che quel tipo di clientela l’abbiamo già persa! Tornerà nei negozi solo per farci sapere che su internet o in qualche supermercato ha trovato il prodotto x a 0,20€ in meno di quanto lo comprava tramite noi, però vorrebbe sapere come va cucinato perché non glielo hanno detto (Baule Volante ha degli ottimi ricettari che potete vendergli ma in un caso del genere vi consiglio il comodo raccoglitore che potete usare per tirarglielo dietro!)

Tiriamo fuori l’orgoglio di dire che “sì, questo pomodoro costa di più: è fatto retribuendo correttamente il bracciante che è stato 8 ore nei campi con lucifero che gli bruciava la schiena” oppure "Questo zucchero è dolce anche per chi lo coltiva, perché gli viene garantita un'istruzione"
Chi si rivolge a certi canali di vendita è il cliente che cerca un prodotto “buono” sotto tutti i punti di vista ed il modo migliore per fidelizzarlo è quello di conquistarci la sua fiducia.
Troviamo il tempo e le metodologie per aiutare anche i clienti finali ad avere maggiore informazione: aziende, negozianti, rappresentanti (però dateci il tempo di parlare prima di elencarci cosa non ha funzionato nell’ultima consegna) dovrebbero avere questa missione, per far tornare il bio un segno di prodotto sana e “buono”.

 tratto da un post di Roberto Casolaro, di OrdiniToscana a TuttoBio,

oltre ad essere un amico.


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